La pieve di Rocca Santa Maria
Fra le pievi dell’Appennino modenese, quella di Rocca Santa Maria, dedicata a S. Maria Assunta, citata dal 971, è fra le più antiche e suggestive. Il suo profilo inconfondibile si rileva in lontananza al turista ed al pellegrino, simbolo di arte e storia nel verde paesaggio collinare. Sorge isolata dal resto del borgo, sulle prime pendici dell’Appennino modenese su una rupe quasi inaccessibile che domina la pittoresca valle del torrente Fossa. La Pieve era annessa ad un antichissimo fortilizio che faceva parte di una serie di torri e luoghi fortificati a presidio della vallata, con Nirano, Fogliano, Torre delle Oche e Spezzano. Dal 1038 appartenne al marchese Bonifacio di Toscana e quindi a sua figlia Matilde di Canossa, che la cedette nel 1108 al vescovo di Modena. La datazione delle origini della pieve è controversa; risalirebbe a epoca preromanica e per taluni studiosi all’VIII-IX sec. Alla metà del Settecento subì la sopraelevazione della navata centrale, determinando così la struttura monocuspidale della facciata, in origine “a capanna” con due semplici spioventi. Furono anche eliminate le due piccole absidi laterali; ora rimane l’abside centrale, con tracce di archetti pensili, che ha orientamento liturgico a est, cioè verso il sorgere del sole la cui luce è metafora della grazia divina. I restauri eseguiti tra il 1913 e il 1937 hanno voluto restituire alla chiesa l’aspetto romanico, rifacendo la facciata in pietra e realizzando la copertura in capriate lignee. L’interno, semplice e maestoso, a tre navate, possiede un fascino raccolto e solenne, con le ampie arcate che appoggiano su quattro colonne e semicolonne basse e poderose. Gli splendidi capitelli databili all’ XI secolo, in stile preromanico o romanico precoce, sono ornati da intrecci vegetali, con foglie e fiori stilizzati, nastri e volute, e sono ritenuti fra i più belli del Nord Italia. La base della seconda colonna di destra ha i paraspigoli scolpiti con teste di animali – leone, caprone, orso, grifone – che simboleggiano il male schiacciato dalla Chiesa. Il pilastro a sinistra dell’altare maggiore conserva un antico tabernacolo, scavato e ornato dai simboli eucaristici di un calice e spighe stilizzate.
Il castello di Monfestino
La frazione di Monfestino è raggiungibile dal capoluogo attraverso una passeggiata panoramica di quattro chilometri. La località ed il suo castello, di proprietà privata visibile solo dall’esterno, rappresentano una delle più importanti testimonianze del passato sotto l’aspetto civile ed amministrativo del territorio serramazzonese. Il toponimo potrebbe provenire dall’antica famiglia romana dei Da Faustini, ma più probabilmente esso deriva dal patrono della chiesa parrocchiale S. Faustino poi Mons. Faustino. La parte più antica della rocca, che in tempi remoti si presentava con un’alta torre quadrata circondata da possenti mura, doveva costituire un avamposto dello sbarramento difensivo del Castro Feroniano che ritardò di circa duecento anni l’espansione dei longobardi nel territorio montano assoggettato alla Chiesa e all’Impero Bizantino di Ravenna. All’inizio del secolo il castello era in condizioni di deplorevole degrado, ma una volta acquistato dalla famiglia del Comm. Fermo Corni in pochissimi anni, grazie a importanti lavori di restauro, fu riportato al suo splendore originale. Oggi, camminando per un verde sentiero, si possono ammirare le rotonde e possenti mura, e si possono osservare le vette dell’Appennino e perfino i bianchi ghiacciai delle Alpi, mentre nel buio della notte si può ammirare la sottostante pianura illuminata. L’abitato di Monfestino presenta, inoltre, alcune antiche case: all’interno di una di queste vi è un portale di pregevole fattura, opera di Mastro Antonio d’Ambrosino, famoso artista del XVI secolo.
Il castello di Pompeano
“Aggrappata alla sommità di una massiccia rupe ofiolitica costituita da rocce serpentinose, la rocca medioevale di Pompeano è raggiungibile salendo una breve rampa che si inerpica sul masso a partire dal borgo sottostante. All’interno del perimetro fortificato, al quale si accede attraverso un portale ad arco acuto, si distingue il palazzo feudatario, la cui sala di rappresentanza è decorata con volute e stemmi dei Cesis di Gombola e dei Cesis di Roma. L’edificio, caratterizzato da due ordini sovrapposti di sobrie finestre trilitiche di probabile fattura duecentesca e da un discutibile portichetto in stile neogotico risalente al secolo XIX, fronteggia la Chiesa di San Geminiano al Sasso, fino agli odierni restauri lasciata purtroppo in stato di semiabbandono.
Sempre all’interno della cinta muraria si trovano il torrione di avvistamento a pianta quadrata edificato sul punto più alto del pianoro, la torre campanaria costruita nel XVIII secolo nei pressi dell’ingresso ed isolata rispetto alla chiesa, nonché una torre colombaia circolare. Il complesso, situato in posizione dominante sulla valle del Rio Cervaro dirimpetto alla spettacolare parete denominata la Vanga del Diavolo, è difeso naturalmente su tre lati dallo strapiombare della rupe e su un lato dalle mura merlate.
Secondo le fonti già sul finire del XII secolo Pompeano era ricompreso nel territorio posto alle dipendenze dei Da Gomola, i feudatari di origine longobarda signori della contea di Gombola. Nel 1416, estintosi il casato dei Da Gomola, il borgo ed il castello furono assegnati da Nicolò III d’Este alla famiglia Cesis che li tenne sino al 1796. Solo per un breve periodo i nuovi feudatari utilizzarono il castello come residenza permanente. In seguito i Cesis soggiornarono a Pompeano saltuariamente, preferendo quali residenze permanenti prima il castello di Gombola, franato nel 1597, e successivamente il palazzo di Talbignano. L’utilizzo parziale della struttura fortificata ha impedito la completa trasformazione della destinazione d’uso da militare-residenziale ad esclusivamente residenziale; in ragione di ciò è ancora possibile osservare, caso assai raro nella nostra regione, il complesso medievale del fortilizio, che si caratterizza per la presenza di un ampio spiazzo all’interno della cinta muraria molto funzionale alle esigenze belliche.”
La torre della Bastiglia
Simbolo del comune di Serramazzoni la Torre della Bastiglia faceva parte di un fortilizio del XIII secolo eretto a scopo di avvistamento e di appoggio al castello di Monfestino. La torre segnò per molto tempo il valore strategico di Ligorzano, soprattutto dall’ XI al XIII secolo. Nei pressi della torre alcuni edifici residenziali presentano portali in sasso scolpito con architravi lavorati di buona fattura e con incisa la data 1578.
Si trova a Ligorzano poco distante dalla conosciutissima Fontanina meta ambita di ogni ciclista e anche dello scrittore Alfredo Panzini che lì fermò a dissetarsi.